Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.

giovedì 1 maggio 2008

Colloquio con Cossiga

Quando la Storia non combacia con le proprie scelte ideologiche si esercita la fantasia e si ha quella specifica forma di storia che si chiama dietrologia. Moro è stato ucciso dalle Brigate Rosse e le Brigate Rosse sono un fatto tutto italiano e, come dice giustamente quella gran signora di Rossana Rossanda, un fatto tutto interno alla sinistra italiana e alla storia della Resistenza. Prima di fare il colpo, con quella potenza geometrica di fuoco, i brigatisti si addestrarono. Probabilmente le armi che avevano erano state fornite dall'Olp. Qual è il suo ricordo di quella mattina? Io abitavo allora a via Cadlolo, quasi di fronte all'Hotel Hilton, e uscivo molto presto la mattina. Mi fermavo a un'edicola a guardare le riviste che non mi compravano, che erano quelle di elettronica. Lì mi raggiunse il caposcorta, che mi disse che mi cercava il capo della polizia. Io andai alla macchina e il capo della polizia mi disse: "hanno annientato la scorta di Moro. Lui non si sa. Forse l'hanno ucciso, forse l'hanno ferito, forse è al Policlinico Gemelli, forse è morto". Io feci avviare la sirena e andai alla Presidenza del Consiglio. Era il giorno in cui il governo si doveva presentare alle Camere, con Enrico Berlinguer che voleva informare Andreotti che non avrebbe più votato il suo governo perché aveva messo degli uomini che rappresentavano per lui simboli negativi. Erano nomi che Moro aveva imposto, uomini della destra e del centro-destra della Dc. Isituzioni e sistema politico sembrarono del tutto impreparati ad una notizia del genere. O no? Anzitutto erano stati demoliti i servizi di informazione e di sicurezza con due grandi operazioni di disinformazione del Kgb. Operazioni che avevano come obiettivo quello di scompaginare i servizi segreti e quella forza di polizia che loro consideravano più pericolosa, e cioè i Carabinieri. La prima è il Piano Solo. I giornalisti che fecero la campagna non lo sapevano, ma il boccone avvelenato, per varie tappe, partì dal Kgb. La seconda è la P2. Poi vi fu un terzo tentativo di disinformazione, pensato contro Berlinguer. Fu quello della compravendita dei terreni di famiglia, ma fallì. Allora io dissi: "Mio Dio, se anche il Kgb sbaglia siamo fregati". Quale fu a suo giudizio il legame tra Br e Mosca? Alcuni parlano delle Br strumentalizzate dall'Unione Sovietica che non voleva il compromesso storico. Non è vero. L'Unione Sovietica voleva il compromesso storico, perché era comunque un modo di attenuare alcuni aspetti della nostra politica atlantica. Enrico Berlinguer, dice a Pansa, alla vigilia del '76:"se andremo al potere manterremo la nostra appartenenza alla Nato, perché tra l'altro la Nato è un ombrello che garantisce anche la nostra indipendenza". Il marxista-leninista Enrico Berlinguer, non stalinista, mai avrebbe reso una simile intervista se Mosca non gli avesse detto: "falla pure, pensa a vincere e basta". Poi, Aldo Moro è uno dei fondatori di Gladio... Quindi? Aldo Moro era un uomo abile, ma Stay Behind è stata fondata per volontà di Moro, di Taviani, di Martino e con l'aiuto tecnologico di Enrico Mattei. Comunque, io ho preso un pugno in faccia in vita mia alla Camera. Da chi? Da Pajetta. Quando? Quando Moro fece il discorso in difesa dell'intervento americano nel Vietnam. Aldo Moro era quindi un uomo politico italiano e occidentale senza se e senza ma? Senza se e senza ma. Capiva, però, che in questo Paese non si sarebbe potuto governare a lungo senza trovare un accordo con i comunisti. L'accordo che De Gasperi aveva già trovato. De Gasperi non aveva già stretto un accordo con Togliatti? E la Costituzione italiana cos'è? Un patto tra le due forze. Nel circuito dei grandi protagonisti politico-istituzionali della vita italiana del dopoguerra, il posto di Aldo Moro qual è? Gli uomini di Stato italiani sono stati Cavour, che non parlava l'italiano bene, pensava in inglese e scriveva in francese. Il secondo è stato Giolitti, che ha fatto l'Italia moderna. Poi Mussolini, anche se io sono stato educato a casa mia a pane, latte, antifascismo e repubblicanesimo. E poi De Gasperi. Sarebbe stato Togliatti un grande uomo di Stato. Il più grande uomo di governo dopo Giolitti e Mussolini fu Andreotti; il più grande leader politico Aldo Moro. Ma per liberare Aldo Moro fu fatto, dal punto di vista delle indagini, tutto il possibile? Tutto il possibile, ma eravamo troppo deboli. Una mia frase tratta da un'intervista rilasciata al suo collega Aldo Cazzullo è stata equivocata. Non è vero che il capo del commando mi ha detto che mille persone conoscevano il nascondiglio di Aldo Moro. Lui mi disse che più di mille persone, anche sindacalisti del Pci, ci avrebbero potuto indicare nomi, cognomi e abitazioni dei brigatisti rossi. Il Partito Comunista è diventato un partito di Stato, io ho collaborato con esso, chiamo Massimo D'Alema "Il meglio figo del bigoncio". Ma, anche per come noi li abbiamo trattati nei primi vent'anni, l'antipatia per i Servizi e per le forze di polizia gli è rimasta. Hanno cancellato Ugo Pecchioli. Per revocarlo hanno chiamato me. Hanno cancellato Rossa, come è raccontato nel libro della figlia. Perché, in fondo, per un vero militante comunista, un compagno, anche se sbaglia come i brigatisti, come diceva Rossana Rossanda, non si tradisce. Se guardiamo invece ai 55 giorni dal punto di vista politico e della gestione che i vertici istituzionali fecero nel caso, qui è evidente che la vicenda si complica, cioè liberare Moro significava accettare le condizioni proposte dalle Brigate Rosse... La condizione era una sola: non la liberazione dei prigionieri, né tantomeno come credeva ingenuamente il Vaticano il denaro. Era il riconoscimento politico in modo da aggirare il Partito comunista imborghesito di Berliguer. C'era qualcuno favorevole a questo riconoscimento? Si nascondevano sotto lo scambio dei prigionieri nelle trattative. E poi c'era chi voleva far saltare Andreotti. Ma nei 55 giorni, a suo giudizio, si arrivò vicini a liberare Moro? No. Il loro leader mi disse che avevamo sbagliato tutto, che avremmo dovuto usare i vigili urbani, non le forze speciali. Però loro si accorsero che noi stavamo per arrivare perché alla fine su mia iniziativa dividemmo la città di Roma in tanti quadratini. Questo a suo giudizio indusse le Brigate Rosse ad accelerare la conclusione del processo e ad uccidere Moro? Sì. Guardiamo alla vicenda nella sua gestione politico e istituzionale. Poteva andare diversamente? Quando io andai a trovare questi signori in carcere, gli chiesi come mai non avevano capito che loro avevano vinto. E gli dissi che non avrebbero vinto ma stravinto, se avessero fatto il processo a Moro, lo avessero condannato a morte, e dopo che Paolo VI ne aveva chiesto la liberazione, loro avessero detto: "In omaggio a Paolo VI che ci ha riconosciuto, lo liberiamo". E loro perché non lo liberarono? Perché a mio avviso loro avevano il mito della esemplarità: siamo creduti soltanto se siamo feroci, cioè il processo rivoluzionario, le purghe, la confessione. Perché secondo lei allora è così viva ancora la tesi: "Moro doveva morire"? Lei sa che per alcuni gli assassini di Aldo Moro si chiamano, Paolo VI, Giulio Andreotti, Benigno Zaccagnini e Francesco Cossiga. Comunque fino a quando lo dice la moglie e i figli capisco, sempre sono stati privati di un marito di un genitore. Ma anche per una parte della sinistra Dc, non quella di base però, non è possibile che Moro sia stato ucciso da sinistra. Moro deve essere stato ucciso da destra e dall'imperialismo americano. Lei porta ancora i segni della sofferenza di quei giorni Quando io dico che ho concorso ad ammazzarlo è vero, anche se non sono un assassino. A differenza di altri io sapevo benissimo che la linea della fermezza, salvo un miracolo, avrebbe portato alla sua morte. Lo pensava anche Andreotti? Sì. Ma che sperava più di me. E Berlinguer? Assolutamente. In una lettera indirizzata a lei Moro evoca la ragione di Stato. Scrive così:"io mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato sottoposto ad un processo popolare che può essere opportunamente graduato... Un momento, ecco l'inizio del riconoscimento. Lui trattava. Un processo popolare. Riconosce la legittimità popolare e democratica delle Br al processo. "Che sono in questo Stato, avendo tutte le conoscenze e sensibilità che derivano dalla lunga esperienza, con il rischio di essere chiamato o indotto a parlare in maniera che potrebbe essere sgradevole o pericolosa in determinate occasioni", Ecco, scrive Moro "il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di legalità mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurli a salvarli è inammissibile". Esatto. Lui era un cattolico sociale e riteneva che contassero innanzitutto la società e la persona e che lo Stato fosse una sovrastruttura tecnica. E che lo Stato non potesse essere uno Stato di cui si doveva tutelare il prestigio. È autentico il Moro che scrive così? È autentico. E cerca di trattare con le Br. Gli appelli che Moro fa alla al suo partito che effetto ebbero? Beh, alla fine ebbero effetto, tanto è vero che loro uccidono Moro il giorno in cui forse, su proposta di Fanfani, la direzione del partito avrebbe convocato il Consiglio nazionale, e il Consiglio nazionale avrebbe votato per le trattative. E poi il Partito comunista si fidava solo di Andreotti e di me. Appena uscì la prima lettera di Moro Ugo Pecchioli, venne da me e mi disse: "Che Moro esca vivo o che Moro esca morto, dopo questa lettera Moro è per noi politicamente morto. E quando Andreotti, con il mio consenso, permise alla Dc, di cercare la strada di Amnesty International, la strada della Croce Rossa e così via, vennero nel mio studio Enrico Berlinguer e Pecchioli a dire: "Adesso basta". In un'altra missiva che manda a lei, Moro entra nel merito della trattativa, addirittura indicando un Paese, l'Algeria, come possibile Paese che avrebbe potuto ospitare i terroristi di cui si chiedeva la liberazione. Questa strada fu concretamente esplorata? Fu esplorata dal ministro della Giustizia di allora, che poi divenne presidente della Corte Costituzionale, ed era favorevolissimo Giovanni Leone. In una burrascosa riunione del comitato per l'informazione e la sicurezza, fu scartata con violenza da Carlo Donat Cattin, che non pensava neanche lontanamente che il figlio fosse di Prima Linea. Trent'anni dopo. Poteva finire diversamente? Se avessimo trattato e cioè avessimo riconosciuto soggettività politica alle Br, sarebbe saltato certamente il compromesso storico, Moro sarebbe uscito e avrebbe guidato una crociata anticomunista. Però avremmo sfasciato le forze di polizia che non avrebbero più creduto al potere politico. In questo che lei dice pesa il fatto che cinque uomini della scorta erano stati uccisi? Certo. E che la moglie di uno di questi aveva minacciato di darsi fuoco davanti a piazza del Gesù se noi avessimo fatto le trattative. L'uccisione di Moro ha cambiato la storia d'Italia? L'ha cambiata perché ha interrotto il compromesso storico. Perché Berlinguer credeva non alla Dc ma solo ad Aldo Moro. Dopo che fu ucciso Moro lui perse le amministrative, vinte dalla Dc perché era il partito del martire e perché nel immaginario collettivo le Br non erano verdi o bianche, erano rosse. E questa è l'influenza più grande? Sì. E lì Berlinguer compì forse due errori: aver fatto il compromesso storico troppo in fretta e averlo finito troppo in fretta. Dove è continuato il suo dialogo con Moro in questi trent'anni? In chiesa. Solo in chiesa.

da "Il Tempo" del 10 marzo 2008 - a cura di Roberto Arditi

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