Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.

giovedì 1 maggio 2008

Il caso Migliorini

Posto questo interessante articolo tratto dalla "Gazzetta del Sud" del 26 marzo a firma Luigi Michele Perri.

Il caso Migliorini sempre aperto ed insoluto. Il cosentino che tre mesi prima del rapimento Moro (16 marzo 1978), era uno scomodo questore di Roma, Domenico Migliorini (1918 - 1992), si dimise, sbattendo la porta in faccia al ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, che lo aveva promosso all'ispettorato del dicastero ("promoveatur ut amoveatur") per rimuoverlo dal posto cui era stato destinato per conclamati meriti acquisiti sul campo e che, in poco tempo, lo aveva portato al centro di un sospetto tiro incrociato di interdizioni e di contestazioni. Nell'immediato dopoguerra Migliorini fu per vent'anni capo della Mobile della capitale. Conosceva Roma meglio delle sue tasche. Scompaginò bande di falsari, risolse gialli inestricabili, diede il suo apprezzabile apporto al ripristino dell'ordine e della legalità nella "città aperta". Era un poliziotto puro, col fiuto del segugio. Si sentiva ed era un servitore dello Stato, capace e rigoroso. L'Fbi lo tenne sempre in grande considerazione tanto da richiederne la sistematica collaborazione. Vicequestore a Trapani e questore a Caltanissetta, si batté contro la mafia, conseguendo risultati di tutto rilievo. Fu assegnato alla bersagliata frontiera di Nuoro per combattere il riemergente fenomeno del banditismo. Missione compiuta. Fu a Lecce e, poi, a Bergamo, dove contribuì a risolvere il sequestro di Mirko Panattoni, un bambino di otto anni rapito dall'Anonima sequestri il 21 maggio del '73 e liberato il 7 giugno successivo. I riconosciuti successi lo portarono a Palermo, con a fianco il suo "allievo" Boris Giuliano, che egli volle alla testa della Mobile, preferendolo a Bruno Contrada. Scovò il boss Luciano Liggio, a letto con una ballerina. Puntò Tommaso Buscetta. Propose il sequestro di beni mafiosi. Nel pieno degli anni di piombo fu chiamato a Roma. La piazza era incandescente. Appena arrivato, domò una clamorosa sedizione degli agenti, che si sentivano troppo esposti ai rischi del terrorismo, senza sufficienti tutele per il loro lavoro, nell'indifferenza di una politica cieca di fronte alla "strategia della tensione". Migliorini fu lasciato solo nell'occhio del ciclone che contro di lui si scatenò con l'assassinio di Giorgiana Masi, la giovane radicale colpita a morte da un proiettile vagante in una manifestazione di piazza a Roma (12 maggio 1977), agitata da infiltrati dell'autonomismo pronti alla lotta armata. Fu la polizia ad essere accusata di avere sparato. Venne montata una campagna forsennata contro gli apparati di pubblica sicurezza. Il questore fu messo alla gogna. Gli addebitarono la costituzione di squadre speciali di agenti in abiti civili con licenza di uccidere. Poi, fu scagionato da ogni responsabilità, sia dalla magistratura, sia dalle commissioni parlamentari d'inchiesta, sia da diversi terroristi pentiti. Ma, intanto, si era dimesso. Cossiga non ebbe alcun moto di solidarietà nei suoi confronti. Alla testa della questura gli subentrò Emanuele De Francesco, considerato un "questore politico" e noto ai cosentini per essere stato questore della loro città, patria dei Mancini e dei Misasi. La gestione del "caso Moro" andò come andò, portandosi dietro misteri mai chiariti e sui quali ancora oggi si discute. Con una lettura postuma del genere "what if?", verso cui la storiografia più avanzata non è insensibile, vien da chiedersi se l'istinto amniotico del poliziotto, imbattibile conoscitore di ogni angolo della capitale, non fosse la qualità richiesta in quel momento per dare una qualche svolta all'azione di investigatori che brancolavano nel buio. Domenico Migliorini si dimise o fu indotto, e perché, alle dimissioni? Un mistero ancora irrisolto

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