Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.

lunedì 12 maggio 2008

Il cinema e il caso Moro

E'da poco tempo disponibile in tutte le librerie Il cinema e il caso Moro di Francesco Ventura, libro che analizza in modo dettagliato e con lucida obiettività i tre film italiani che hanno affrontato la tragica vicenda del rapimento e dell'assassinio di Aldo Moro, seppure con stili e linguaggi completamente diversi. Prima però di Il caso Moro (1986) di Giuseppe Ferrara, di Buongiorno, Notte (2003) di Marco Bellocchio e di Piazza delle Cinque Lune (2003) di Renzo Martinelli, vi era stato un altro film, Todo Modo (1976) di Elio Petri (tratto dall'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia), che antecedente ai fatti del 9 maggio 1978, aveva già trattato la figura di Aldo Moro, seppure in maniera paradossale e in un contesto labirintico e claustrofobico.
Il film di Petri traccia, infatti, un affresco visionario e grottesco degli Anni di Piombo e della Democrazia Cristiana, immaginando una terribile epidemia che costringe i notabili del partito a riunirsi in un albergo, dove trascorrono tre giorni all'insegna di esercizi spirituali volti alla purificazione dai reati di corruzione e di altro genere da loro commessi. Gian Maria Volonté, qui alla quarta e ultima collaborazione con Elio Petri (dopo A ciascun il suo, La classe operaia va in paradiso e Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto), interpreta il personaggio di Il Presidente, modellato senza ombra di dubbio sulla figura di Aldo Moro, leader che alla fine si suiciderà per completare un diabolico piano nel quale rientrava anche la diffusione della stessa epidemia, perpetrata per liberare l'Italia dalla malvagità della classe politica vigente. Facile, dunque, capire perché l'opera non ottenne alla sua uscita molta considerazione e perché sparì non appena Moro fu assassinato (leggenda vuole, inoltre, che i primi due giorni di riprese del film furono cancellati per un'eccessiva somiglianza di Volonté con Moro, che avrebbe reso impossibile evitare la censura).
Ancora Gian Maria Volonté interpreterà Aldo Moro (ma non più in chiave grottesca, ma mettendone in evidenza tutta la forza e la dignità) nel primo vero film a lui dedicato che è Il caso Moro di Giuseppe Ferrara (1986), opera costruita quasi tutta sui processi e sugli atti della commissione parlamentare, e sceneggiata da Armenia Balducci e da Robert Katz, autore del libro I giorni dell'ira, cui il film si ispirò. La pellicola si pone come "film storico" e assolutamente neutrale, ed infatti trae la sua forza dalla propensione del regista per la parte più scomoda della storia politica del nostro paese (sua è anche la ricostruzione dell'uccisione del generale Dalla Chiesa in Cento a Giorni a Palermo, e suo sarà anche il racconto della figura dell'operaio Guido Rossa, ucciso dalle Brigate Rosse per aver denunciato chi diffondeva volantini a loro favore in Guido che sfidò le Brigate Rosse del 2006). Il caso Moro viene ricordato soprattutto per le splendide sequenze ambientate all'interno del carcere brigatista, ma non colpevolmente finisce per risultare un documento storico incompleto, a causa di elementi riguardanti il rapimento e l'omicidio, che solo negli anni successivi emersero e furono diffusi.
Di altro genere è invece la discussa opera di Marco Bellocchio del 2003, Buongiorno, Notte, presentata in concorso al Festival di Venezia, dove gli fu negato il Leone d'Oro (con pioggia di polemiche), a favore del bellissimo Il ritorno di Andrej Zvjagintsev. Il film pone l'accento sulla figura della brigatista Chiara, coinvolta nel rapimento di Aldo Moro. Mescolando in maniera perfetta ideologia politica, utopie e vita quotidiana (con un'umanizzazione dei personaggi che destò non poche perplessità), il film non offre un'analisi storica della vicenda, ma preferisce concentrarsi (come molto del cinema di Bellocchio) sui risvolti dell'animo umano, ed ecco perché il confine tra realismo e universo onirico risulta a tal punto sottile, che l'opera finisce per trascendere i limiti della singolarità dell'evento, elevandosi ad un'universale e personale visione del terrorismo e dei terroristi. Il successo del film aiutò anche il regista Aurelio Grimaldi a trovare i finanziamenti per realizzare la sua personale trilogia su Aldo Moro, uscita nel 2004 (ma era dal 1996 che c'era l'idea del progetto) in episodi di 80 minuti circa, che ripercorrono i 55 giorni di prigionia.
Ultimo film prodotto sulla figura di Aldo Moro è stato Piazza delle Cinque Lune del regista Renzo Martinelli, autore dell'apprezzato Vajont e in questi giorni in sala con il film Carnera - The Walking Mountain. La pellicola, uscita poco dopo quella di Bellocchio (era sempre il 2003), si presenta come un thriller in piena regola, con personaggi inventati (il giudice istruttore Saracini è interpretato da Donald Sutherland) e un incipit che consente al regista di affrontare in chiave funzionale i segreti e i misteri in cui è ancora avvolta la realtà del caso Moro. L'efficacia visiva di alcune inquadrature, gli ambienti marginali e le atmosfere cupe, consegnano al film un'immagine molto lontana dal cinema-verità, e a poco servono i flashback e le immagini in bianco e nero della prima parte, in quanto la seconda trasforma la vicenda in un poliziesco di vecchia maniera, con soluzioni persino di computer grafica e l'uso di tutti gli stereotipi previsti dal genere. Martinelli dunque non riesce completamente nel tentativo di uscire dalla autorialità e di avvicinare la delicata vicenda ad un pubblico più numeroso e meno pretenzioso, ma ha il privilegio negativo di funzionare da perfetto raccordo allo sconfinamento del "caso Moro" nel territorio della fiction televisiva, che ne ha preso le redini per i successivi anni. Oggi sono passati trent'anni da quel fatidico giorno e il fatto che a raccontarlo sia solo la televisione (nello stato attuale in cui risiede), e non più il cinema, mette in luce una pericolosa inversione di ruoli, che potrebbe portare delicate vicende storiche a trasformarsi (se già non l'hanno fatto) in scialbo materiale narrativo schiavo dell'auditel.

Diego Scerrati

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