Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.

domenica 6 luglio 2008

Aldo Moro: il diritto penale dal volto umano

Vi posto questa mia recensione al libro:
A. Moro, Lezioni di Istituzioni di diritto e procedura penale di Aldo Moro, Cacucci, Bari, 2005, raccolte e curate da Francesco Tritto.


Il libro, che l’editore Cacucci (non a caso l’editore delle lezioni di Filosofia del diritto tenute da Moro a Bari negli anni Quaranta) ha pubblicato in modo pregevole, contiene una ricca Introduzione in cui Tritto, da una parte, ricostruisce la sua collaborazione con Moro e offre una toccante e diretta testimonianza che illumina il rapporto dello statista con i suoi studenti e con i giovani, della sua capacità di guardare al di là, di cogliere prospettive nuove, di anticipare problematiche, di individuare soluzioni. Ne esce una fotografia particolarmente affascinante che ci mostra un Moro notevolmente diverso da quello ‘ufficiale’. Dall’altra parte, il lavoro introduttivo di Tritto è di grande interesse soprattutto per cogliere l’importanza delle lezioni quale contributo più sistematico di Moro alla scienza penalistica italiana alla quale aveva pur donato in passato notevoli monografie, per riconoscimento unanime della dottrina, su singole questioni (si pensi ai lavori sulla unità e pluralità dei reati e a quello sulla subiettivizzazione della norma penale o della antigiuridicità penale).
L’importanza di queste lezioni, seppur pubblicate a diversi anni di distanza, è sottolineata, adeguatamente, del resto, da Giuliano Vassalli che nella Presentazione ricorda che finalità essenziale del lavoro è proprio quella di permettere agli studiosi di diritto penale di conoscere con maggiore completezza e autenticità il pensiero penalistico “di un grande cultore della materia”.
La lettura delle lezioni, che Tritto si augurava approfondita dai penalisti in modo obiettivo, permetterà di inquadrare il pensiero di Moro nel più ampio dibattito dottrinario riguardante i principali temi ed istituti penalistici.
In questa sede preme rilevare un aspetto caratterizzante queste lezioni, e più in generale il pensiero filosofico di Moro che sta sullo sfondo ma è ben visibile (al di là del fatto che, come ci ricorda Tritto, la prima parte del corso delle lezioni, prevedeva un programma che riprendeva i temi generali sul diritto e sullo stato trattati nelle lezioni di filosofia del diritto). La profonda formazione filosofico-giuridica gli consente, infatti, di analizzare i problemi della materia affrontata in modo complesso, tenendo presente tutte le angolature, ponendo costantemente e lucidamente l’attenzione sulle diverse implicazioni sociali e politiche. Nel Moro delle lezioni si realizza, in perfetta coerenza col suo pensiero filosofico e con la sua esperienza politica, una perfetta complementarietà di diritto-politica e morale in quanto le categorie della giuridicità e della politica sono, ed è qui che si sente maggiormente la lezione di Giuseppe Capograssi, espressione della vita etica e cioè di quel processo attraverso il quale “il soggetto realizza la sua vita più vera, ascendendo dal piano della sua particolarità empirica a quello della universalità, che rappresenta il suo valore propriamente umano […] l’eticità è in ogni caso slancio spontaneo della persona che, superando le angustie del suo limite particolare, spazia nell’universale”.
Ecco perché la sua preoccupazione è per i principi, per le ‘cose essenziali’. È sempre in primo piano la sua convinzione sulla necessità che l’esperienza giuridica, e quindi anche e soprattutto quella che si evidenzia nel diritto penale, mantenga ferma la sua finalità che è il richiamo incessante alla persona umana. L’idea di fondo è che la persona umana rappresenti allo stesso tempo il principio e il fine dell’esperienza giuridica stessa.
Queste premesse sono alla base della sua concezione ‘umanistica’ del diritto penale che Tritto ha evidenziato nella Introduzione e che tanti studiosi (Bettiol, Vassalli, Conso, Contento) hanno sempre colto nell’opera morotea. Le lezioni rappresentano la sede più importante nella quale questa concezione, già presente nelle monografie del primo periodo, viene compiutamente elaborata, anche alla luce della straordinaria esperienza politica e istituzionale acquisita da Moro (al tempo delle lezioni pubblicate era Presidente del Consiglio dei Ministri). Scrive Tritto: “sia che Egli rivolga l’attenzione all’autore del reato (persona libera di autodeterminarsi e di scegliere, quindi, tra il bene e il male), sia che si tratti di indagare sulle singole categorie o istituti penalistici, ogni Sua riflessione è incentrata sulla persona umana, sulla sua dignità, sui valori, su giustizia, libertà, verità” (p. 62).
Emblematica, in questa prospettiva, la concezione etico-retributiva della pena con la quale, insolitamente, iniziava il corso di diritto penale. Per Moro la pena non è “il male per il male, la rinuncia, la limitazione della personalità odiosamente praticata in se stessa. La pena è questa limitazione della personalità finalizzata ad una ragione più alta, che è quella della cancellazione del male, della eliminazione, sul piano ideale, del male che si è verificato nella vita sociale: il male al quale subentra il bene. La pena, con le sue limitazioni, con i suoi svantaggi, è il segno del bene che riprende il suo dominio nella vita umana e nella vita sociale, riprende il suo dominio e cancella il male. Quindi non è una crudeltà, anzi, non può essere una crudeltà, la pena, perché essa è finalizzata ad una riaffermazione del bene nella vita e, quindi, non è male come male, ma limitazione e svantaggio per il bene che rappresenta, per il bene che reintroduce, per l’ordine che ristabilisce nella vita umana e nella vita sociale” (p. 102).
Resta anche nelle lezioni, in parte attutito solo dal suo entusiasmo e dalla predilezione per i giovani, un senso di pessimismo, direi di matrice paolina, verso il mondo delle istituzioni, della politica e del diritto. È un motivo ricorrente nella produzione morotea già da quando, giovane docente di Filosofia del diritto, scrisse queste parole: “Probabilmente, malgrado tutto, l’evoluzione storica di cui noi saremo stati determinatori, non soddisferà le nostre ideali esigenze: la splendida promessa, che sembra contenuta nell’intrinseca forza e bellezza di quegli ideali, non sarà mantenuta. Ciò vuol dire che gli uomini dovranno pur sempre restare di fronte al diritto e allo stato in una posizione di più o meno acuto pessimismo. E il loro dolore non sarà mai pienamente confortato. Ma questa insoddisfazione, ma questo dolore sono la stessa insoddisfazione dell’uomo di fronte alla sua vita, troppo spesso più angusta e meschina di quanto la sua ideale bellezza sembrerebbe fare legittimamente sperare. Il dolore dell’uomo che trova di continuo ogni cosa più piccola di quanto vorrebbe, la cui vita è tanto diversa dall’ideale vagheggiato nel sogno. E’ un dolore che non si placa, se non un poco, quando sia confessato ad anime che sappiano capire o cantato nell’arte o quando la forza di una fede o la bellezza della natura dissolvono quell’ansia e ridonino la pace. Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino”.

Mario Sirimarco

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