Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.

martedì 17 marzo 2009

Misteri, incongruenze e interrogativi sulla tragica vicenda che ha stravolto il corso della Storia del nostro Paese

Ricorre l’anniversario dell’eccidio di via Fani e dell’assassinio dell’onorevole Aldo Moro, allora Presidente della Democrazia cristiana.
La mattina de 16 marzo del 1978, infatti, in una delle zone residenziali della Capitale un commando formato da un non meglio precisato numero di presunti brigatisti rossi, con un’azione degna degli interventi delle forze speciali antiterrorismo (meglio conosciute come “teste di cuoio”), massacrava con una precisione strabiliante la scorta dell’onorevole Moro esplodendo circa un centinaio di colpi d’arma da fuoco e sequestrava l’alto esponente scudocrociato, rimasto “miracolosamente” incolume sotto una vera e propria pioggia di proiettili.
Sul luogo della strage rimanevano i corpi esamini del maresciallo Oreste Leonardi, da circa tre lustri guardia del corpo del leader democristiano, degli appuntati Domenico Ricci e Francesco Zizzi e delle guardie Giulio Rivera e Raffaele Iozzino.
Il corpo senza vita di Aldo Moro verrà trovato, invece, 55 giorni dopo il sequestro, per la precisione il 9 maggio dello stesso anno, dentro il bagagliaio di una Renault R4 rossa posteggiata in via Caetani a Roma, ad appena qualche centinaio di metri dalla sede nazionale della Democrazia cristiana di Piazza del Gesù.
A trent’anni di distanza da quel tragico evento, nonostante siano stati celebrati nel frattempo diversi processi e riempite pagine in quantità industriale da parte dei componenti delle varie commissioni parlamentari d’inchiesta istituite ad hoc, rimangono ancora tanti gli interrogativi e le zone d’ombra cui non sono state date risposte attendibili.
A cominciare da quella relativa ai 31 bossoli privi dell’indicazione della data rinvenuti nel luogo dell’eccidio (ma anche nel covo delle Br di via Gradoli a Roma) che, come risulta dalla perizia redatta a suo tempo dagli esperti Luigi Nebbia, Antonio Ugolini, Giovanni Jadevito e Pier Luigi Baima Ballone, non sarebbero state in dotazione alle forze armate regolari ne, tanto meno, potevano essere commercializzate ai civili in quanto il calibro era ad uso esclusivamente militare. In questo contesto, sarebbe stato pertanto legittimo chiedersi a chi fossero destinate queste munizioni. Ma sull’argomento gli inquirenti hanno preferito sorvolare. Chi ha tentato invece di dare una risposta a quest’enigma è stato l’allora onorevole Luigi Cipriani (Dp) il quale, nel corso di un suo intervento in Parlamento dell’11 gennaio 1991, avanza un ipotesi inquietante: «…mi chiedo come sia potuto accadere che in via Fani fossero stati usati proiettili di questo tipo, molto particolari, che le ditte forniscono soltanto a forze statali militari non convenzionali. L’organizzazione Gladio rientra in questo tipo di struttura perché l’allora ministro della Difesa Spadolini – che asserisce di non aver saputo nulla al riguardo – elaborò la riforma inserendo tale Organizzazione tra le forze per la guerra non convenzionale dell’esercito italiano. Abbiamo quindi di fronte una serie di altri elementi sui quali non è stata fatta chiarezza necessaria e sufficiente: forse perché allora ai magistrati non fu riferito dell’esistenza di quella struttura. In ogni caso, credo che sarebbe interessante sapere come mai questo tipo di proiettili finirono nelle mani delle Brigate Rosse e di quel commando che assassinò la scorta di Aldo Moro».
Un altro interrogativo a cui non è stata data risposta è quello relativo alla denuncia dell’onorevole Mario Capanna (Dp), durante il suo intervento in Parlamento nel 1987 in occasione del voto di fiducia al governo De Mita (Dc), a proposito dell’esistenza di una struttura occulta all’interno della Sip (Società italiana per l’esercizio telefonico) composta da uomini del Sismi e da una non meglio specificata “Sala dei collegamenti”. «Questa struttura ha compiti speciali a tal punto che fu messa in allarme esattamente il 15 marzo del 1978 – denunciò Capanna nel corso del suo intervento in Aula – data che immagino le evochi cose tristi come le evoca anche a me. 15 marzo 1978 esattamente il giorno prima del rapimento di Aldo Moro. Se ne evince che questa struttura fu dunque allertata da qualcuno che sapeva esattamente cosa sarebbe accaduto il giorno dopo e probabilmente i giorni e le settimane successive».
E’ pertanto lecito supporre che i servizi segreti sapessero in anticipo che l’ex presidente della Dc sarebbe stato rapito.
Ad avvalorare questa ipotesi concorrono anche altri elementi, alcuni dei quali sono contenuti in atti parlamentari. Nella relazione della commissione stragi del 1991 (pagg. 39 e 40), ad esempio, si legge che a seguito della deposizione di un ex agente del Sismi (Servizi segreti militari), Pierluigi Ravasio, venne constatato che la mattina del 16 marzo 1978 in via Fani, al momento dell’eccidio, era presente un ufficiale del Sismi, il colonnello Camillo Guglielmi. Quest’ultimo, interrogato dai magistrati, giustificò la sua presenza in via Fani dicendo che stava recandosi a pranzo (?) a casa di un collega che abitava in via Stresa, a pochi metri da dove era avvenuta la strage. Il collega del Guglielmi, interrogato a sua volta, confermò che il colonnello del Sismi si era presentato alla sua abitazione ma dichiarò anche che Guglielmi non era atteso e che non era stato affatto programmato un pranzo.
Sempre negli atti della commissione Stragi, si legge infine che Guglielmi era in via Fani su richiesta del generale Musumeci (a quei tempi ai vertici del Sismi insieme al generale Santovito, ndr), che aveva avuto un informazione da un infiltrato nelle Br, uno studente universitario di legge il cui nome di copertura era Franco, il quale avvertì con una mezzora d’anticipo che Moro sarebbe stato rapito.
Ma ancora più inquietante è la vicenda che ruota intorno alla figura di Prospero Gallinari, il brigatista rosso evaso dal carcere di Treviso il 2 gennaio del 1977 e successivamente identificato come uno dei quattro carcerieri di Aldo Moro. Il Gallinari, infatti, non sarebbe mai sfuggito al controllo dei Carabinieri durante il suo lungo periodo di “fuga”.
E’ quanto si desume dal contenuto di una nota riservata (vedi foto) inviata, appena undici giorni prima dell’assassinio dell’ex presidente della Dc (28 aprile 1978) dal comando generale dell’Arma dei carabinieri al comandante generale della Guardia di Finanza.
Secondo quanto riportato dalla nota in questione, il cui foglio di accompagno è firmato dall’allora comandante generale della “Benemerita” Pietro Corsini, si rileva che una fonte confidenziale attendibile avrebbe riferito ai militari dell’Arma che il brigatista rosso Prospero Gallinari si sarebbe incontrato a Roma il 15 novembre del 1977, in un bar sito in via Appia Nuova, con un pregiudicato ricercato per più sequestri di persona presentatogli da una giovane donna romana di 22 anni di nome Bruna, abitante nella stessa via Appia Nuova. In quell’occasione, Gallinari avrebbe proposto al pregiudicato in questione di partecipare a un eclatante sequestro di persona a sfondo politico e avrebbe ricevuto dallo stesso un diniego in quanto la proposta non sarebbe stata ritenuta economicamente conveniente. Gallinari, poi, si sarebbe presentato al predetto incontro accompagnato da un presunto terrorista tedesco.
Sulla scorta di quanto sopra rappresentato si evince pertanto che i militari dell’Arma, a oltre undici mesi dall’evasione dal carcere di Treviso, non solo tenevano sotto controllo il Gallinari ma erano anche a conoscenza dei suoi propositi di mettere in atto un eclatante sequestro di persona a sfondo politico.
Ma non è tutto. Prospero Gallinari sarebbe stato tenuto, infatti, sotto controllo dal gruppo investigativo dei carabinieri anche successivamente alla data del 15 novembre 1977.
E’ quanto si rileva dalle dichiarazioni rese dal colonnello dei carabinieri Antonio Cornacchia, iscritto alla loggia P2 di Licio Gelli e primo ufficiale della Benemerita ad arrivare in via Caetani subito dopo il ritrovamento del cadavere di Moro, davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani e sul sequestro e l’assassinio dell’ex presidente della Dc.
Rispondendo alla domanda di un commissario che gli chiedeva se Paolo Santini (infiltrato dei carabinieri all’interno della colonna romana delle Br) in relazione alla vicenda Moro gli avesse riferito qualcosa, Cornacchia aveva dichiarato: «Penso che una volta mi abbia riferito (ma l’ho dedotto io) su un viaggio fatto da Gallinari a Roma. Gallinari mi interessava in quanto fu il primo dei coinvolti nel sequestro Moro e poi nell’assassinio. Attraverso le testimonianze (risulta anche dagli atti processuali), dal giorno del sequestro, Gallinari fu individuato».
I militari dell’Arma dunque sapevano e non sono mai intervenuti. Perché? Già la risposta a questa domanda basterebbe a smantellare l’impianto sul quale si regge la presunta “verità” giudiziaria.
Va sottolineato, inoltre, che nella nota riservata del 28 aprile del 1978, la fonte confidenziale attendibile riferisce i nomi di tutti i partecipanti all’incontro del 15 novembre 1977 in via Appia Nuova, ma evita accuratamente di fornire le generalità del pregiudicato “esperto” in sequestri di persona.
Nell’ottobre del 1993, il superpentito della ‘ndrangheta Saverio Morabito aveva raccontato al pm milanese Alberto Nobili che Antonio Nitra, noto esponente della mafia calabrese, era stato uno degli esecutori materiali del sequestro Moro. In quell’occasione, Morabito aveva tirato in ballo anche il generale dei carabinieri Francesco Delfino accusandolo di aver favorito l’infiltrazione di Antonio Nitra nel commando brigatista di via Fani.
Di certo c’è che, negli atti della commissione parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’’assassinio di Aldo Moro viene riportato il contenuto di una conversazione telefonica intercorsa fra il deputato Dc Bettino Cazora e Sereno Freato, stretto collaboratore del presidente dello scudocrociato. Cazora informava Freato di aver ricevuto una telefonata dalla Calabria in cui veniva avvertito dell’esistenza di una foto, scattata in via Fani la mattina del sequestro, che ritraeva un personaggio noto agli uomini della ‘nrangheta.
Insomma, a trent’anni dal tragico evento non v’è alcuna certezza su come andarono realmente i fatti e, soprattutto, su chi furono i veri mandanti ed esecutori dell’eccidio e dell’assassinio di Aldo Moro. E non è detto che quando verrà tolto finalmente il segreto di Stato si riuscirà a fare pienamente luce sull’intera vicenda: alcune verità potrebbero essere inconfessabili.

di Toni Baldi
www.liberoreporter.it

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