Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.

domenica 15 marzo 2009

Sull'attualità del pensiero di Aldo Moro

1. Nel ricordare annualmente le date che ci richiamano il sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta, mentre resta ancora tanto da dire e da scoprire sui 55 giorni della sua prigionia, rimane sempre vivo e di grande attualità il pensiero moroteo soprattutto per la sua straordinaria capacità di guardare “non solo al domani ma anche al dopodomani”.
Un pensiero spesso e ingiustamente ritenuto tortuoso e oscuro, ma in realtà capace, anche grazie all’uso di ardite formule linguistiche (come le famose “convergenze parallele”), di una profondità e di una lungimiranza difficili da riscontrare nel panorama politico odierno.
Il pensiero (filosofico-giuridico e politico) di Moro è attuale, oggi più che mai, perché Moro è stato capace di cogliere con grande anticipo i tempi nuovi, di indagare le trasformazioni di una società che si avviava a diventare sempre più complessa e quindi difficile da inquadrare con le categorie e i parametri precedenti.

2. C’è una preoccupazione di fondo che guida tutto il pensiero e tutta l’azione politica di Moro: il tentativo di cogliere i tratti di una democrazia difficile, caratterizzata dalla sua giovane età e dalla difficile circostanza della guerra fredda che la costringe in una forma bloccata, dimezzata.
C’è l'aspirazione verso una democrazia matura, compiuta, una democrazia dell’alternanza, del reciproco riconoscimento tra gli opposti schieramenti politici. Una democrazia del dialogo, della collaborazione, della condivisione.
E proprio su questo tema l’elaborazione politico-culturale di Moro è straordinariamente acuta, e presenta per noi motivi di grande attualità.
Potremmo ricordare la fase-laboratorio della Assemblea Costituente quando l’impegno del giovane Moro è proteso alla individuazione dei principi essenziali della nostra Costituzione nella prospettiva della costruzione di una “casa comune”.
Potremmo ricordare la faticosa nascita del centro sinistra con il primo momento del processo di consolidamento e ampliamento delle nostre istituzioni democratiche.
Si colloca in questa problematica quella della presenza e del ruolo politico dei cattolici e più in generale del rapporto tra fede e politica in un contesto di laicità quale quello disegnato dal Costituente.
C’è, ancora, da considerare il problema del potere e della necessità di stabilire in una società sempre più frastagliata ed esigente un nuovo equilibrio, un nuovo ordine, caratterizzato dall’idea dell’inclusione e non della esclusione.
C’è, infine il controverso tema della “terza fase” che non è certamente la realizzazione di un’idea consociativa del potere ma il passaggio decisivo verso quella democrazia compiuta a cui è dedicata tutta la sua vita politica.
Anche su questo aspetto Moro è sempre molto preciso e non accetta cedimenti ideali. È il caso di puntualizzare su questo passaggio per evitare strumentalizzazioni e tentativi di accaparrarsi una personalità che è e dev’essere patrimonio della cultura politica dell’intero paese. A tal proposito due brevissime considerazioni.
La prima: cambiano i toni ma il riferimento anticomunista è sempre presente nel pensiero politico moroteo. Dice in un discorso del 1960: “il nostro anticomunismo non è un tortuoso e inefficace anticomunismo di tipo conservatore … è stato da sempre il nostro un anticomunismo democratico, che nasce dall’accettazione senza riserve della democrazia, si avvale delle armi della democrazia, ha di mira non una repressione, con la forza, di masse inquiete, ma la restaurazione di una ordinata società democratica. Siamo per questo insensibili ai generici richiami dell’antifascismo, alla richiesta comunista di una sorta di solidarietà in nome dell’antifascismo”.
La seconda considerazione riguarda le ragioni dell’alleanza con Berlinguer. Di fronte all’emergenza, economica e politica, del paese (un’emergenza che si è poi di fatto cronicizzata, perché è un’emergenza che continua ad essere presente), Moro non propone un’alleanza politica col PCI, impossibile per gli equilibri internazionali e per evidenti antinomie ideali (soprattutto in materia di libertà e di pluralismo), ma una semplice (che alla luce della guerra e fredda era evidentemente già tanto, anzi troppo) convergenza sul programma (“un programma arricchito, adeguato al momento” come precisa nell’ultimo discorso ai gruppi parlamentari).
Naturalmente si tratta di una questione assai delicata che merita di essere adeguatamente approfondita.

3. C’è una costante in tutto il pensiero di Moro: esso è caratterizzato, sia per quanto riguarda la visione politica, sia per quella morale e giuridica (non a caso si parla a proposito della sua concezione giuridica di ‘diritto penale dal volto umano’), dal costante richiamo, che diventa drammatico (equivocato e strumentalizzato) nelle lettere dal carcere delle BR, alla centralità della persona umana.
Come ha scritto il suo allievo più caro (e mio amico fraterno) Franco Tritto, in un prezioso volume che raccoglie l’ultimo anno di lezioni all’università di Roma “La Sapienza”, “non si può fare a meno di rilevare come il filo conduttore dei valori umani si dipani lungo tutto il suo percorso scientifico. Il punto di partenza, il presupposto, cioè, è sempre e comunque costituito dalla centralità della persona umana, dell’uomo. Tutto intero il suo argomentare, quale che sia l’angolo visuale o il tema trattato, parte dall’uomo per ritornare all’uomo”.
Si tratta di un punto cruciale che resta di grande attualità, è anzi ancor più di attualità in un contesto culturale oggi alla moda in cui sono presenti sia sul piano teoretico, sia sul piano pratico, e quindi giuridico, politico e morale, modelli post-umanistici tendenti a sottovalutare la dimensione umana dell’esperienza a vantaggio di un imponente ed autoreferenziale potere tecnologico.
Di fronte a questi eccessi, di fronte al tentativo di privilegiare l’artificiale rispetto all’elemento umano, di fronte all’invadenza di una globalizzazione intesa soprattutto come primato dell’economico sul politico, di fronte alle sfide biotecnologiche e alle emergenze ecologiche, di fronte alla problematica di una governance della scienza e della partecipazione ai processi decisionali, alla necessità di garantire i diritti delle generazioni future, non resta che riaffermare in primis, in linea con la tradizione cattolico-democratica e con la nostra ispirazione cristiana, le basi umane della nostra esistenza.
Riscoprendo, per esempio, il senso più vero della politica. Perché le sfide che abbiamo appena ricordato, del mondo globale, con la trasformazione e l'erosione della sovranità statale e la cessione di sempre maggiori poteri ai mercati, sono sfide politiche, che richiedono sempre più l'intervento della Politica anche e soprattutto perché su molte questioni la scienza non è in grado di darci risposte chiare ed univoche; su molte questioni la scienza è "incerta" e la politica è chiamata ad intervenire sempre più spesso con competenza, lungimiranza, responsabilità, moralità.
In campo politico questo impegno di umanizzazione dell’esperienza si concretizza, in ciò che Moro aveva colto: la difesa, il consolidamento e la espansione del processo democratico. È questo lo strumento più efficace rispetto al complicarsi dei fenomeni sociali, del crescente pluralismo sociale e culturale, della sempre più evidente inadeguatezza e insufficienza dello Stato ormai troppo grande per far fronte alle “piccole” questioni ma decisamente troppo piccolo per affrontare e risolvere le grandi problematiche del nostro tempo.
Moro afferma, in un discorso tenuto a Milano nel 1959: “Una democrazia, cioè un atto di rispetto per l’uomo, per ogni uomo, per tutto l’uomo, per tutte le esperienze in cui si esprime e si concreta la sua libertà, non può che riconoscere, difendere, arricchire, questo vasto e vario contesto sociale, non può che affrontare con serietà e fiducia il problema certo difficile, dell’armonizzazione e della compatibilità di queste libere articolazioni della realtà umana. Il problema della garanzia della libertà attraverso la sintesi delle libertà è certo sempre arduo, e tale che impegna la democrazia in un sapiente lavoro di equilibrio.”

4. Cosa rimane dell’insegnamento politico di Moro? Se si guarda il quadro politico dei nostri giorni non si può non cadere nello sconforto: i partiti ridotti a contenitori senza identità e senza cultura; liste bloccate e imbottite di personaggi mediocri, che privano il cittadino del momento più importante in cui si esplica la sua sovranità e la sua partecipazione democratica.
Come può questa classe dirigente autoreferenziale pensare di affrontare le problematiche dei nostri tempi, le problematiche di una società complessa?
Infatti non li affronta, spesso perché non ha le capacità culturali per comprenderli.. Si limita a gestire il potere, ad ingrassare.
Quell’avvenimento del 16 marzo del 1978, e dei 54 giorni che sono seguiti, è ancora presente nella vita di questo paese; è da allora che la politica italiana è entrata in crisi, in una crisi da cui non si vede ancora una via d'uscita.
È da quel 16 marzo che la classe politica italiana si è attorcigliata su se stessa e si dimena in una impotenza onnivora. È impotente di fronte ai problemi economici e sociali; è ripiegata solo sulla gestione del potere, sullo spreco delle risorse pubbliche; l’unica preoccupazione è quella di perpetuarsi, di riprodursi in una inarrestabile corsa verso il basso. Tanto più crescono la sua impotenza e la sua incapacità di amministrare la cosa pubblica, tanto più aumenta la sua ansia ossessiva, onnivora, di privilegi di casta.
Nelle lettere dalla prigione e in molti discorsi Moro profetizza la degenerazione patologica di un sistema di potere chiuso su se stesso. In una lettera del 24 aprile del 1978 scrive "Io ci sarò ancora come un punto irriducibile di contestazione e di alternativa".
Purtroppo lui non c'è, ma dal suo nome e nel suo nome può partire una mobilitazione culturale e sociale per il riscatto della Politica.

Mario Sirimarco

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