Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.

martedì 26 gennaio 2010

Caso Moro, in Repubblica Ceca inchiesta sulla «pista cecoslovacca»

È stata aperta ufficialmente l'inchiesta della polizia della Repubblica ceca per verificare se davvero dietro il rapimento e l'uccisone di Aldo Moro, ad opera delle Brigate rosse nel 1978, ci sia stata la mano della StB, la polizia segreta del regime nella Cecoslovacchia pre 89. Del caso si occupa l'Urad dokumentace a vysetrovani zlocinu komunismu (Udv) - Ufficio per la documentazione e le indagini dei crimini del comunismo, un organo creato nel 1995 per decisione del ministro dell'Interno e che dal 2002 fa parte del Dipartimento di polizia criminale della Repubblica ceca.
Il compito dell'Udv è occuparsi di reati penali commessi nel periodo del regime - dal 1948 al 1989, anno della cosiddetta Rivoluzione di Velluto - e non perseguiti per ragioni di carattere politico. «Stiamo accertando se veramente un gruppo di brigatisti rossi sia stato addestrato in un campo speciale di Karlovy Vary», ha detto Eva Michalkov, ufficiale Udv, riferendosi alle voci, ricorrenti, secondo cui nella Cecoslovacchia comunista era operativo negli anni '70 un campo di esercitazioni paramilitare frequentato dai terroristi italiani. Karlovy Vary, cittadina termale nota anche col nome tedesco di Karlsbad, si trova nei Sudeti, zona occidentale del paese, a poche decine di chilometri dal confine con la Germania. «Per ora possiamo comunque confermare che negli anni '70 il nostro paese era abitualmente frequentato da esponenti di rilievo delle Br, dallo stesso Renato Curcio» ha aggiunto il capitano Michalkov, che in prima persona sta seguendo l'inchiesta. La pista esplorata è quella della teoria secondo cui dietro il sequestro e la morte dello statista italiano ci possa esser stata la mano della Cecoslovacchia comunista su ispirazione della Unione sovietica. Tesi non certo nuova, ma che ora Praga ha deciso di scandagliare.
La stampa ceca, nel dare notizia dell'apertura di questa inchiesta, cita anche Vittofranco Pisano, esperto statunitense di intelligence e security, secondo il quale Moro potrebbe essere stato addirittura prigioniero a Roma nel 1978 nei locali dell'ambasciata cecoslovacca. «In ogni caso, per il momento non abbiamo accertato che a Karlovy Vary fosse operativa in quegli anni una base segreta Stb frequentata da terroristi italiani» ha dichiarato la Michalkova, pur ammettendo che se un campo del genere fosse esistito, ne sarebbe stato al corrente un circolo molto ristretto di agenti, obbligati alla massima segretezza. Dalla Michalkova un invito alla collaborazione agli inquirenti italiani. «Attraverso la Interpol abbiamo chiesto alla polizia italiana che ci fornisca tutte le conclusioni cui sono giunte le indagini italiane. Sino a quando questo materiale non ci verrà messo a disposizione, dubito che si possa accertare la verità».

www.ilgiornale.it

mercoledì 13 gennaio 2010

La mafia non doveva intercedere per la liberazione di Moro

Esponenti dei Servizi Segreti fecero pressioni sull'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino perche', qualora alla mafia fosse stato chiesto di intercedere per la liberazione dell'onorevole Aldo Moro, lui convincesse il boss Bernardo Provenzano a non intervenire. E' una delle rivelazioni contenute nei verbali di interrogatorio di Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, depositate agli atti del processo al generale dei carabinieri Mario Mori, ex vicecomandante del Ros accusato di favoreggiamento alla mafia.

Interrogato dai pm della dda di Palermo il 21 giugno del 2008, Ciancimino racconta dei rapporti tra il padre ed esponenti dei Servizi. "I rapporti con i Servizi - spiega il teste - mio padre li ha sempre avuti". E prosegue: "I Servizi hanno avuto un ruolo sempre chiave, specialmente dopo il sequestro Moro. La prima volta che si e' parlato di Servizi, realmente, all'interno di Cosa Nostra, avvenne nel sequestro di Aldo Moro. Perche', una volta sempre in occasione di appunti che prendevo per la stesura di questo mio ipotetico libro, mio padre mi disse che era stato pregato per ben due volte, di non dar seguito a delle richieste pervenute per fare pressione su Bernardo Provenzano perche' si attivassero per potere interferire, per quantomeno aiutare lo Stato nella ricerca del rifugio di Moro".

Poi spiega meglio: "Mio padre diceva che tali richieste potevano pervenire al suo paesano Riina da altri gruppi o esponenti politici, se cio' fosse avvenuto, mio padre doveva convincere il Provenzano a non immischiarsi in questo affare".

Ad ulteriore chiarimento il pm domanda: "Dunque per ben due volte sarebbe stato chiesto a suo padre di intervenire su Provenzano a impedire o ad evitare che vi fossero interventi di Cosa Nostra per liberare Aldo Moro, giusto?". "Perfetto", risponde Massimo Ciancimino.

"Un momento in cui ci fu un grande movimento dei Servizi Segreti con mio padre - racconta Massimo Ciancimino - fu nel 1980. Non mi posso scordare: 19 giugno 1980. Mi ricordo che proprio quella sera ci fu la strage di Ustica".
"Mio padre - spiega - fu chiamato subito e si incontro' uno o due giorni dopo col ministro Ruffini. Mi disse che era successo un casino e che doveva vedere, fece andare a chiamare l'onorevole Lima, fece andare a chiamare altre situazioni, altri personaggi, e quando ho chiesto a mio padre realmente cosa fosse successo, mi racconto' che gia' allora, il primo momento, si seppe della storia dell'aereo francese che per sbaglio aveva abbattuto il DC9 e che bisognava attivare un'operazione di copertura nel territorio affinche' questa notizia non venisse per niente".
"E qualora ci fosse stato bisogno di interventi di qualsiasi tipo - conclude - loro dovevano poter contare su mio padre".
"Loro chi?", chiede il pm al teste.
"I Servizi", risponde Ciancimino.

fonte
rainews24

venerdì 8 gennaio 2010

Il libro di Alessandro Fruci su Sturzo


Vi segnalo l'uscita del libro del mio amico Alessandro Fruci sul pensiero di don Luigi Sturzo.

Figura geniale, poliedrica, Luigi Sturzo fu un protagonista indiscusso del secolo appena trascorso sia nel panorama nazionale che in quello internazionale. Il suo ideale cosmopolitico, il suo acceso europeismo, la sua riflessione sui temi della pace, della sicurezza internazionale, del superamento del diritto di guerra, costituiscono il contributo più attuale del suo impegno pratico e teorico. Le sue battaglie per la giustizia, la libertà, l'equità, il rispetto per le identità culturali e religiose dei popoli e per le legittime aspirazioni di ciascun individuo sono le stesse che combatte oggi l'evoluta e complessa società del terzo millennio. L'insegnamento del sacerdote di Caltagirone ci porta ad affermare che la soluzione ai numerosi problemi odierni passa necessariamente attraverso la costruzione di una civiltà nuova fondata su un internazionalismo che si sviluppi dal basso e che si regga sul consenso e sulla partecipazione degli individui alla vita della costituenda comunità internazionale.

A. Fruci, La comunità internazionale nel pensiero di Luigi Sturzo, Aracne, Roma, 2009.

giovedì 7 gennaio 2010

Una lettera di Moro al cardinale Siri: «La Chiesa resti con la Dc»

L’ apertura a sinistra era un prezzo da pagare per mantenere l’unità politica dei cattolici. Con questa argomentazione Aldo Moro, segretario politico della Dc, nel dicembre 1962 cerca di convincere il cardinale Giuseppe Siri, presidente della Cei, della necessità della svolta sancita alcuni mesi prima dal congresso di Napoli. È quanto emerge da una lettera che lo stesso Moro invia al cardinale, e pubblicata nel libro Siri, la Chiesa, l’Italia (Marietti 1820, pp. 418, 25 euro), una raccolta di saggi di vari autori dedicati all’arcivescovo di Genova, curata dal professor Paolo Gheda, che oltre a riportare numerose fonti inedite propone nuove ipotesi di lettura e di interpretazione sulla figura del cardinale genovese. Copia della lettera riservata di Moro a Siri è stata ritrovata da Gheda nell’archivio del cardinale Montini, che pochi mesi dopo sarebbe divenuto Papa. E dimostra che, al di là delle innegabili differenze di approccio alla politica italiana, i due arcivescovi più in vista dell’episcopato del nostro Paese in quel frangente agivano concordemente: nessuno vedeva di buon occhio l’apertura a sinistra – erano profondamente anticomunisti sia Montini che Siri come pure Giacomo Lercaro, l’arcivescovo di Bologna – ma tutti ritenevano che andasse salvaguardata l’unità politica dei cattolici nella Democrazia cristiana. E dunque concludevano, pur con accenti diversi, che l’alleanza tattica con i socialisti dovesse essere il prezzo da pagare per mantenere la centralità del partito cattolico al governo del Paese.
Moro, nella lettera, ribadisce a Siri, che la Dc ambisce a «esprimere, sul terreno politico, in modo unitario il mondo cattolico, riflettendone le fondamentali esigenze morali e religiose, assumendo la difesa, nella massima misura possibile, del magistero della Chiesa nella società civile». La scelta dell’apertura a sinistra, dunque, pur ancora discussa, è necessaria perché «non vi è, nell’attuale parlamento un’alternativa democratica alla presente formula di governo». Inoltre, l’apertura a sinistra – spiega ancora Moro al cardinale presidente dei vescovi italiani – favorisce «il processo di autonomia del partito socialista e il conseguente isolamento del partito comunista». Il segretario della Dc cerca di rassicurare Siri: il partito intende «accentuare la sua caratterizzazione di partito d’ispirazione cristiana ed il suo collegamento con quel mondo cattolico, dal quale essa sempre ha ritratto e continua a ritrarre, il contenuto dottrinale, alte ragioni ideali, la preparazione e la sensibilità dei suoi uomini più qualificati a tutti i livelli». Il contatto con la gerarchia non dovrà quindi appannarsi, ma anzi rinsaldarsi, proprio nella fase in cui sarà necessario dialogare «con forze di diversa ispirazione ideale».
Nella lettera riservata al cardinale di Genova, lo statista democristiano spiega che la Dc, grazie al suo stretto collegamento con la Chiesa, intende scegliere candidati graditi ai vescovi in modo da evitare «che seri rilievi d’ordine morale e religioso riguardo alle persone possono essere formulati» da parte ecclesiastica, «con l’effetto di creare difficoltà e disagio di coscienza per l’elettorato cattolico». E chiede di risolvere in modo diretto, unitario e tempestivo eventuali problemi al riguardo.
Il cardinale Siri attende diversi giorni prima di rispondere a Moro. Poi, il 12 dicembre, gli scrive, confermandogli di aver favorito «le buone disposizioni dei vescovi per un’azione che possa essere utile tanto al bene delle anime quanto al supremo interesse della Patria». Dunque Siri non si oppone, ma anzi rassicura Moro. Gli dice di aver esercitato la sua influenza sui vescovi per far loro comprendere le ragioni del segretario democristiano, che sulla scelta dell’apertura a sinistra si stava giocando la leadership nel partito.
Vale la pena di ricordare che alcuni mesi prima, all’inizio del 1962, il segretario democristiano aveva avviato una parziale consultazione nell’episcopato italiano sull’opportunità di aprire ai socialisti. Poco più della metà degli interpellati non appariva sostanzialmente sfavorevole all’ipotesi, anche se dal sondaggio erano state tagliate fuori intere regioni, come ad esempio la Liguria, il cui episcopato era presieduto da Siri. Meno di un anno dopo però Moro chiede proprio a lui un aiuto per far sì che i vescovi sostengano la scelta. Una scelta che, si evince dalla lettera del segretario Dc, era sostanzialmente di tipo tattico, un’alleanza strategico-elettorale, e non una condivisione di principi, ed era tesa a mantenere la centralità del partito democristiano.

Andrea Tornielli
www.ilgiornale.it

L'Università di Bari cambia nome, non più intitolata a Mussolini ma ad Aldo Moro

Venerdì 15 gennaio, l'Università di Bari cambia nome, non più Università di Bari benito Mussolini bensì Aldo Moro. tributando così lo statista, pugliese, ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978, e docente dell’Ateneo del capoluogo pugliese. Nulla è stato lasciato al caso, neppure la scelta del luogo e della data: l’inaugurazione del primo anno accademico avvenne esattamente 85 anni prima, nel 1925, anche allora al Petruzzelli. "Vogliamo rilanciare la nostra università - è fiero il rettore Corrado Petrocelli - senza dimenticare il passato". La cerimonia inizia alle 10 con il corteo accademico: i presidi, con indosso la toga, entreranno in base all’ordine di nascita delle singole facoltà.
L’intervento del rettore Petrocelli sarà preceduto dalla esecuzione dell’inno nazionale. Dopo il saluto, al presidente Napolitano sarà consegnato il sigillo d'oro, donato inoltre alla famiglia dell’insegne uomo politico. In prima fila siederanno anche due dei tre figli del giurista, Agnese e Giovanni Moro. Il legame fra l’università di Bari e il leader storico della Democrazia cristiana è testimoniato da più episodi. A Aldo Moro nel 1962 venne conferito un riconoscimento dal rettore dell’epoca Vincenzo Ricchioni per il contributo alla nascita del Centro di alti studi agronomici mediterranei.



Nel 1975 a Moro venne consegnato il sigillo d’oro da parte del professor Ernesto Quagliariello, in occasione del cinquantenario della nascita dell’Ateneo barese, quale espressione di elogio per l’impegno profuso in favore dell’Ateneo. Il giurista non prese parte alla manifestazione: da Roma, dove si era trasferito seguire la politica, inviò un discorso di ringraziamento. Come in ogni manifestazione in pompa magna che si rispetti, tra l'attesa che di certo è grande, c'è anche lo scontento degli studenti che vedono nel cambio del nome solo una manovra di facciata. E a farlo, tra gli altri, anche l'Unione degli Studenti Democratici, lontani dalle ideologie di destra, ma sul loro sito così si legge: "Se il cambio di nome dell'Università vuole essere un simbolo del cambiamento nel nostro Ateneo - cambiamento ancora lontano dal divenire realtà, fin'ora espresso quasi solo a parole - , avremmo voluto che questa denominazione venisse adottata al termine di un percorso di cambiamento, delle regole, delle norme sui diritti degli studenti, del reclutamento dei docenti, dopo aver implementato servizi e elevato la qualità della didattica. Quando i timidi tentativi di questi ultimi due anni diverranno realtà si sarebbe dovuto cambiare il nome dell'Università degli Studi di Bari, fino ad allora avremmo preferito tenerlo a monito della storia che dobbiamo, tutti insieme cambiare".