Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.

lunedì 10 maggio 2010

La verità a puntate ... Moro, l'ultima notte doveva essere liberato

In diverse occasioni è emeersa questa tesi: il 9 maggio Moro doveva essere liberato. Molti ne erano convinti ... ma qualcosa non andò per il verso giusto. Posto questo articolo tratto dal sito di RAInews24.it:

Gli americani hanno un'espressione che calza: 'La verità è come l'olio della corazzata Missouri'. Un modo di dire che paragona la verità alle bolle di olio che ancora affiorano ogni tanto nella baia di Pearl Harbour dall' ammiraglia Usa affondata dall'attacco aereo giapponese. Qualche frammento di verità sul caso Moro affiora ancora oggi, a 32 anni dall'uccisione dello statista Dc. Tanti frammenti importanti che confermano che Moro doveva essere rilasciato vivo il 9 maggio del 1978 e che qualcosa di imprevisto, non concordato, accadde quell'ultima notte. Elemento questo confermato negli anni dall'ammiraglio Fulvio Martini, numero due del Sismi all'epoca, dal terrorista Carlos detto 'lo sciacallo' e dall'esponente dell'Olp Assam Abu Sharif: il 9 maggio, oltre al pagamento di un riscatto, a Milano era in atto una complessa azione per la liberazione di Moro grazie allo scambio tra esponenti della Raf prigionieri di Tito e detenuti Br in mano all'Italia. Martini andò in Jugoslavia per prendere in carico i tre e portarli a Beirut, dove un aereo dei servizi segreti italiani aspettava in un angolo appartato dello scalo. La destinazione prevista era lo Yemen, base di Carlos. Una fazione del Sismi, ha raccontato due anni fa Carlos all'ANSA, cercò di salvarlo: alcuni brigatisti dovevano essere prelevati dalle carceri e portati in un Paese arabo, probabilmente per scambiarli con i tre della Raf in mano a Tito. Oggi arrivano nuove conferme dopo che l'esponente dell'Olp Assam Abu Sharif ha detto che la trattativa venne improvvisamente interrotta dagli italiani, come sostiene anche Carlos: ''Avrei potuto salvare Moro. Nessuna imprudenza. Ho chiamato un numero, ho lasciato un messaggio dopo l'altro. Nessuna risposta. Davvero strano: una linea speciale e nessuno risponde...''' ha detto al Corriere della sera nel 2008. Intervistate da Alessandro Forlani per la rubrica Rai 'Pagine in frequenza' per uno speciale di Gr Parlamento alcuni protagonisti lanciano la loro personale 'bolla d'olio' su quella ultima notte. Franco Mazzola, all'epoca sottosegretario alla Difesa: ''Il governo non poteva trattare, ma poi trattavano tutti: la Dc, il Papa, la Caritas. Insomma, trattavano. E' chiaro che se Tito si prestava ad un'operazione come questa, lo faceva con l'accordo del governo italiano. Certo, ne erano a conoscenza pochissime persone: diciamo Cossiga e Andreotti; l'ammiraglio Martini il 9 maggio andava a chiudere l'operazione, ma quelli non hanno aspettato''. Umberto Giovine, allora direttore di Critica Sociale: ''L'ammiraglio Martini mi parlò un giorno di questa operazione svolta in Jugoslavia; non mi meraviglia piu' di tanto che non vi faccia neppure cenno nel suo libro di memorie, ne' che minimizzi in commissione Stragi: probabilmente si sentiva sempre vincolato dal segreto''. Per il rapimento di Aldo Moro ''tutto si gioco' nelle ultime 48 ore'', anzi ''nell'ultima notte'', quella tra l'8 e il 9 maggio del 1978 dice Claudio Signorile, all'epoca vice segretario del Psi. Agnese Moro: ''Ad un certo punto si parlo' anche di un possibile espatrio di mio padre, in cambio della liberazione; non ricordo chi ne parlo', se politici, magistrati o qualcuno dei servizi, comunque era un'ipotesi fatta anche da papa' nelle lettere''. Nuccio Fava, direttore del Tg1: il segretario di Paolo VI, Macchi, mi disse che il Papa era molto dispiaciuto che Moro avesse scritto che lui aveva fatto 'pochino'; e aggiunse che Paolo VI era pronto ad ospitare Moro in Vaticano, mettendo in piedi una commissione indipendente, che tenesse in custodia il prigioniero e definisse una trattativa tra governo italiano e Br; della commissione avrebbero fatto parte la Croce Rossa internazionale, la Mezza Luna Rossa algerina e altri soggetti neutrali. Macchi disse anche che il dolore per quanto era successo aveva accelerato la dipartita di Paolo VI''. Padre Carlo Cremona, segretario di Macchi: ''Padre Macchi, se faceva qualcosa andava fino in fondo; quella mattina era contento, come se avesse raggiunto il suo scopo, come se una promessa fosse stata mantenuta; mi disse di stare attento al telefono, perche' avrebbe dovuto chiamare una persona, che avrebbe fatto da mediatore con le Br. Questa persona avrebbe dovuto dire che la trattativa era andata in porto, e che Moro, come d'accordo, avrebbe incontrato una persona amica, forse Mennini, che lo confortasse, lo facesse salire su un'auto e lo portasse in Vaticano, libero. Io rimasi al mio posto, ma arrivo' solo la notizia che il cadavere di Moro era stato trovato''. Corrado Guerzoni, segretario di Moro: ''Che le Br abbiano fatto tutto da sole corrisponde ad una lettura sempliciotta del sequestro Moro; secondo me, hanno gestito un appalto''. Sereno Freato, tra i piu' stretti collaboratori dell'allora presidente della Dc: ''Liberare Moro avrebbe costituito un grande vantaggio per le Br: a mio avviso e' arrivato un ordine dall'alto. Forse Moro e' stato, come scrive, liberato dalle Br e consegnato a X o Y, qualche settore deviato delle istituzioni o dei servizi internazionali: le Br hanno fatto da pali. Forse Moro ha riconosciuto qualcuno; e' giusto dire che quella notte del 9 maggio tante cose sono accadute, che non sappiamo''. Una ulteriore conferma viene da Marco Cazora, figlio di Benito, deputato Dc che aveva cercato di aprire una canale di trattativa con ambienti della malavita romana che sostenevano di aver scoperto la prigione di Moro. Di fronte alle sue insistenze per un intervento delle forze dell'ordine, Cazora si senti' rispondere da qualcuno ''molto importante'': ''Smettila di darti tanto da fare, tanto quello martedi' e' libero''. Era sabato. Il figlio di Cazora ricorda anche quanto riferito da Cossiga in commissione Stragi nel '97 cioe' che Andreotti gli disse, la sera dell'8 maggio, di sperare in una soluzione positiva. L'indomani la Renault rossa era in via Caetani.

mercoledì 5 maggio 2010

Il centro sinistra tra crisi economica e tintinnar di sciabole

«Caro Nenni, ho letto ieri sera l’articolo di fondo su L’Avanti! che viene attribuito alla tua penna incisiva e non posso che essere profondamente ferito per l’accenno che tu fai, alludendo a me, come al capo di un preordinato governo di carattere fascistico-agricolo-industriale, avente il disegno strategico di umiliare il parlamento, i partiti e i sindacati!».
È il 23 luglio 1964, il secondo governo di centrosinistra, con presidente del Consiglio Aldo Moro e vicepresidente Pietro Nenni, ha appena giurato davanti al capo dello Stato, Antonio Segni, ma i protagonisti di quell’estate difficile hanno ancora il pensiero allo scontro appena concluso. Così il presidente del Senato, Cesare Merzagora, ispiratore di una svolta moderata e possibile capo di un governo tecnico, scrive al leader socialista questa lettera che trasuda risentimento. Nenni risponde immediatamente con toni secchi: «Caro Merzagora, l’articolo a cui ti riferisci era mio e non ho ad esso nulla da togliere e nulla da aggiungere. (...) Le tue intenzioni possono essere eccellenti o mediocri. Il governo di emergenza, presieduto da un "eminente Dc" o da te non poteva essere se non con un carattere "fascistico-agricolo-industriale" per dirla con parole tue». L’espressione infatti non era di Nenni, che l’avrebbe utilizzata in maniera provocatoria in un successivo articolo.
Questo interessante e poco conosciuto scambio epistolare, custodito nelle carte di Aldo Moro presso l’Archivio centrale dello Stato si può ora leggere in appendice al saggio della storica Elena Cavalieri, «I piani di liquidazione del centrosinistra nel 1964», sul nuovo numero della rivista «Passato e Presente», diretta da Gabriele Turi.
La primavera-estate del 1964 non viene ricordata soltanto per la liquidazione del centrosinistra (pur restando intatta la formula di governo, nella seconda edizione le riforme, dalla programmazione alle regioni, vennero rinviate sine die, tanto che Antonio Giolitti non accettò più la poltrona di ministro e Riccardo Lombardi si dimise da direttore dell’Avanti! ma anche e soprattutto per quel «tintinnar di sciabole» (questa sì espressione coniata da Nenni) denunciato nel maggio 1967 sull’«Espresso» dalle inchieste di Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi. Il passaggio dal primo al secondo centrosinistra è indubbiamente legato al «piano Solo», oltre che ai contatti tra il presidente della Repubblica Segni, il comandante dei carabinieri Giovanni De Lorenzo e il capo di stato maggiore Aldo Rossi.
Il saggio di Elena Cavalieri non è tuttavia dedicato all’analisi del «piano Solo», su cui in genere si incentra l’analisi storiografica sulla svolta del 1964, quanto al contesto economico in cui quella crisi si svolse. «Mentre sono note le difficoltà create dalla crisi della lira all’esistenza del primo esecutivo di centro sinistra tra il gennaio e il giugno 1964 — scrive la studiosa — il ruolo cruciale giocato dalle questioni economiche nel luglio 1964 non è stato ancora sufficientemente evidenziato... L’allarme per la "congiuntura" fu invece il principale fattore di aggregazione del gruppo eterogeneo — composto da politici, militari e industriali — che in quelle settimane si attivò per il ridimensionamento dell’esperimento di centrosinistra. Fu tale preoccupazione a spingere il presidente della Repubblica, Antonio Segni, a cercare alternative concrete al centro sinistra».
L’ossessione di Segni per la crisi economica e la sua convinzione che le riforme proposte fossero «anticostituzionali» e potessero portare al tracollo del sistema viene raccontata attraverso documenti d’archivio
(per esempio le lettere di Segni a Moro) e una copiosa letteratura, dai diari di Paolo Emilio Taviani alle lettere di Moro dalla prigione delle Brigate rosse. Resta la domanda se a depotenziare il centrosinistra fu la minaccia di una svolta istituzionale o, addirittura, di un colpo di Stato o se bastarono le pressioni della corrente dorotea della Dc, in primis il memorandum preparato da Emilio Colombo, e degli ambienti moderati. Un tema, questo, che come ricorda la Cavalieri ha animato all’inizio del 2004 una disputa tra Paolo Mieli, il quale sul «Corriere della Sera» ha espresso dubbi sul fatto che l’Italia si trovasse nell’estate del 1964 sull’orlo di un colpo di Stato, ed Eugenio Scalfari, sostenitore sulla «Repubblica» della tesi che il complotto rappresentò una reale minaccia per la democrazia. Per l’autrice del saggio il punto non è negare la pericolosità del «piano Solo» quanto mettere in primo piano i retroscena economici della crisi. Pur con molta prudenza la Cavalieri dà credito all’ipotesi che i contatti tra Segni e i vertici militari servissero per prepararsi a reazioni di piazza, non a un colpo di Stato.

Dino Messina
www.corriere.it

sabato 1 maggio 2010

Il confronto D'Alema/Castagnetti su Moro

http://youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=7877f82e-77a4-4ebe-b46b-c234e8280e38