Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.

mercoledì 30 marzo 2011

C'era una volta il capitano Aldo Moro

"Sto conoscendo sempre di più e meglio quello che mio padre ha fatto per il Paese. Durante la sua vita politica e istituzionale ha osservato il rispetto per le Forze Armate tanto da custodire gelosamente la sua divisa di Ufficiale dell'Aereonautica Militare Italiana che, a tutt'oggi, viene conservata dall'intera famiglia". Così Agnese Moro apriva e chiudeva la serata in onore di suo padre Aldo, presso il Comando Generale della Terza Regione Aerea, concomitante con l'ottantottesimo anniversario della Fondazione dell'Arma Azzurra. Il 28 Marzo 2011 passerà alla storia per aver scoperto un ambito inesplorato della poliedrica figura di Aldo Moro. Nativo di Maglie e laureatosi a Bari nel 1938, non fu solo docente universitario, statista ed esponente politico di spicco della Dc, ma anche Ufficiale dell'A.M.. Una carriera breve e intensa che iniziò però con l'Esercito (dove ricoprì il grado di sergente, a seguito della chiamata per cartolina presso il Distretto Militare di Lecce) per poi, in virtù di della sua laurea in Giurisprudenza, passare il 25 Giugno 1943 nell'Arma Azzurra con il grado di Primo Capitano. Fu assegnato al Corpo del Commissariato Aereonautico per poi passare all'Ufficio Disciplina. In questo Reparto, pertinente alla giustizia militare, approfondì le sue conoscenze giuridiche alle quali si ispirò contribuendo " negli anni della politica", sia pure indirettamente, alla elaborazione della Legge 302/78 che riformava i Regolamenti Militari.
Aldo Moro conservò il suo animo buono e sereno oltre alla sua personalità equilibrata anche durante i tragici eventi del 1943. Dal bombardamento dell'aereoporto di Palese il 16 Luglio, passando per il 9 Settembre 1943 con la liberazione di Bari dai Tedeschi, sino al 2 Dicembre 1943 con il bombardamento del porto di Bari. Essi furono da lui vissuti angosciosamente poichè osservava, dal palazzo del Lungomare sede prima della Quarta ZAT e poi della Terza Regione Aerea, quel fumo nero che si elevava ogni qualvolta la città subiva delle incursioni aeree. Congedatosi nel 1944, non potè ottenere la promozione, sia pure in congedo a generale, perchè entrò nell'A.M. come ufficiale di Complemento. Nei suoi discorsi da statista alle Forze Armate conservò il suo profilo militaresco in virtù dei quali l'Aereonautica Militare si onora di averlo avuto abile arruolato fra le sue fila.

Nicola Zuccaro
Il Giornale di Puglia

giovedì 17 marzo 2011

Caso Moro: le verità nascoste

Posto la intervista di Stefania Limiti di cui ho dato notizia nel post precedente.
Pur facendo parte di quanti sostengono che il caso Moro sia ancora da scrivere nella sua interezza, ho difficoltà a considerare attendibile questa fonte, soprattutto perchè dice ... troppo. Se fosse vera questa testimonianza, sarebbe tutto chiaro, tutto fin troppo semplice ... I misteri del caso svanirebbero. Qundi, prudenza.


Dal tunnel del caso Moro continuano ad uscire pezzetti di verità: dopo oltre trent'anni da quella pagina nera, spunta un altro testimone. Non vuole rivelarsi e dunque lo chiameremo signor Mario, ma crediamo che le sue parole vadano prese sul serio, soprattutto dopo che anche la procura di Roma ha giudicato opportuno ascoltarlo. Il signor Mario era un giovane militare di leva nel marzo del 1978 ed ebbe una esperienza che non ha mai voluto raccontare perché così gli dissero, forse poco teneramente, di fare. Mi ha chiamata dopo aver letto l'Anello della Repubblica, scegliendo di confidarmi una storia che non vuole più lasciare solo in un angolo della sua memoria.

D. Che cosa ha da raccontarmi?
R. Ho fatto parte di un gruppo di dieci uomini scelti per tenere sotto osservazione via Montalcini. Era il 23 aprile del 1978. Ci dissero dove stavamo e cosa dovevamo fare solo una volta arrivati: eravamo partiti da Napoli e non sapevamo cosa ci aspettasse.

D. E cosa vi dissero di fare?
R. Ci dissero di sorvegliare l'appartamento dove era sequestrato l'on. Moro. Il nostro compito principale era controllare tutti i movimenti provenienti da quell'appartamento. Avevamo una postazione di controllo: sulla strada era situato un lampione per l'illuminazione stradale che fu smontato pezzo per pezzo da falsi tecnici dell'Enel, portato in una caserma dei Carabinieri dove fu installata una micro telecamera all'interno della lampadina: serviva per vedere gli spostamenti all'interno dell'appartamento. Dovevamo poi sorvegliare i movimenti intorno al palazzo e tenere sotto osservazione i bidoni della spazzatura. Moro era tenuto, ci dissero, nell'appartamento del piano rialzato, quello con il giardinetto. In quello del primo piano erano stati messi microfoni ad alta ricezione, in grado di captare anche i più piccoli rumori. Roba sofisticata per l'epoca, forniti, infatti, da agenti stranieri. Ricordo di aver visto la Renault 4 rossa parcheggiata nel cortile che dava ai garage e un'altra auto, una Rover con targa straniera e con una o forse più multe poste sul parabrezza. Un giorno fu portata via e fu piuttosto sconcertato quando la rividi nello spiazzo della caserma di via Aurelia.

D. Quanto durò questa missione?
R. Fino all'8 di maggio, un giorno prima dell'epilogo tragico del sequestro. Ci dissero che il nostro compito era finito e che ci avrebbero rispedito alle nostre destinazioni. Rientrai ad Avellino e poi ho avuto il foglio di trasferimento per Battipaglia (Salerno). Mi è stato esplicitamente detto di dimenticare quello che avevo visto e fatto a Roma.

D. Perché altrimenti?
R. Ci dissero che avremmo avuto conseguenze. Io sempre avuto paura e non ho mai voluto raccontare questa mia esperienza. Ora con tutte le cautele ho deciso di farlo, magari può essere utile, non so.

D. Che fine hanno fatto i suoi compagni?
R. Di loro non ho avuto più notizie. Forse ci mandarono in caserme molto distanti, proprio per evitare che ci incontrassimo di nuovo. Chissà, in fondo non è certo questo il mistero della storia..

L'esperienza del signor Mario può suggerire tante cose ma tutte andrebbero verificate. E' certo che lascia di stucco: durante i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro nessuno sapeva dell'esistenza di un covo-prigione in via Montalcini. Il generale Dalla Chiesa suggerì una sua ipotesi durante un'audizione in parlamento: cioè che da via Montalcini fosse uscita una Renault 4 quella mattina, ma vuota. Ciò che Moro non fosse lì. Comunque, qualcuno sapeva che in quell'appartamento non c'era solo una normale coppia di giovani sposi. Così come era sotto osservazione, da lontano, il covo di via Gradoli: lo ha detto un uomo dell'Anello, spiegando che fu impedito un blitz per liberare Moro. L'impressione, quasi certezza a questo punto, è che durante il sequestro del presidente della Dc, i movimenti delle Brigate Rosse furono seguiti costantemente ma con grande, grande discrezione.

Moro, un testimone racconta: “Controllavamo il covo Br di via Montalcini”

Via Montalcini, uno dei misteri italiani. Sul covo delle Br del quartiere Portuense di Roma, che secondo la ricostruzione ufficiale è stata la prigione di Moro per tutti i 55 giorni del drammatico sequestro, ora emergono nuovi elementi. Alla vigilia della commemorazione per il 33esimo anniversario del rapimento dl presidente della Dc Aldo Moro e l’uccisione della sua scorta in via Fani sul sito www.cadoinpiedi.it viene pubblicato un articolo dove viene riportata la testimonianza di una persona che nel 1978 era un militare di leva.

L’uomo racconta alla giornalista e scrittrice Stefania Limiti, autrice de “L’anello della Repubblica” (edito da Chiarelettere) che durante il rapimento venne scelto per far parte di un gruppo di dieci uomini chiamati per tenere sotto osservazione via Montalcini. Era il 23 aprile del 1978. L’uomo, già ascoltato dalla Procura di Roma, racconta: “Ci dissero di tenere sotto osservazione l’appartamento dove era sequestrato l’onorevole Aldo Moro. Il nostro compito principale – continua – era controllare tutti i movimenti provenienti da quell’appartamento. Avevamo una postazione di controllo: sulla strada era situato un lampione per l’illuminazione stradale che fu smontato pezzo per pezzo da falsi tecnici dell’Enel, portato in una caserma dei Carabinieri dove fu installata una micro telecamera all’interno della lampadina: serviva per vedere gli spostamenti all’interno dell’appartamento”.

Lo statista democristiano fu tenuto prigioniero dai brigatisti fra il 16 marzo e il 9 maggio del 1978. L’appartamento di via Montalcini a Roma, era intestato alla brigatista Anna Laura Braghetti, e sulla ‘prigione’ al Portuense, pesano da sempre delle ombre. Un luogo immortalato dalle terribili foto dei brigatisti che ritrassero il politico nella feroce immagine della prigione-sgabuzzino delle fotografie inviate ai quotidiani di allora. Moro fu ucciso nel garage del palazzo di via Montalcini 8 alle 6 del mattino e poi trasportato in via Caetani in una Renault 4 rossa rubata. La polizia a pochi giorni dalla strage di via Fani, quando alla polizia arriva una prima segnalazione, forse una voce generica, forse una soffiata precisa, entrano nel palazzo di via Montalcini ma non perlustrano l’interno 1. Gli agenti bussano anche ma poi, inspiegabilmente, vanno via.

Nel libro della Limiti, il militare rivela: “Dovevamo poi sorvegliare i movimenti intorno al palazzo e tenere sotto osservazione i bidoni della spazzatura. Moro era tenuto, ci dissero, nell’appartamento del piano rialzato, quello con il giardinetto. In quello del primo piano erano stati messi microfoni ad alta ricezione, in grado di captare anche i più piccoli rumori. Roba sofisticata per l’epoca, forniti, infatti, da agenti stranieri”. E sulla famigerata Renault 4 rossa aggiunge: “Ricordo di aver visto la Renault 4 rossa parcheggiata nel cortile che dava ai garage e un’altra auto, una Rover con targa straniera e con una o forse più multe poste sul parabrezza. Un giorno fu portata via e fui piuttosto sconcertato quando la rividi nello spiazzo della caserma di via Aurelia. La ‘missione‘ durò fino all’8 di maggio, un giorno prima dell’epilogo tragico del sequestro. Ci dissero che il nostro compito era finito e che ci avrebbero rispedito alle nostre destinazioni. Rientrai ad Avellino e – conclude – poi ho avuto il foglio di trasferimento per Battipaglia. Mi è stato esplicitamente detto di dimenticare quello che avevo visto e fatto a Roma”.

Fonte:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/03/15/moro-un-testimone-racconta-controllavamo-il-covo-di-via-montalcini/97764/