Più che una ricostruzione dei fatti, con la regia del regista-giornalista Franco Fracassi e una sceneggiatura serrata “Sequestro Moro” scava, racconta le ombre, perché troppi non volevano salvare la vita dell’onorevole. Con una sceneggiatura incalzante, il film si affida a interviste a chi non si è fermato al piano delle apparenze e impagina ricostruzioni animate. Come quella dell’attacco terrorista la mattina in via Fani: in bianco e nero, nitida, tagliente, l’animazione mostra chiaramente come l’auto di Moro fu vittima di un agguato in cui non c’erano solo i brigatisti, che gli oltre 90 colpi che uccisero la scorta furono sparati anche da qualcun altro mai scoperto, come a quell’incrocio stazionasse un uomo misterioso la cui identità è a tutt’oggi sconosciuta. Servizi segreti italiani e stranieri, intrighi, parte della stampa diretta in quel periodo da personaggi legati alla P2, chi erano davvero i brigatisti e le brigatiste, il film scava e permette di farsi un’opinione, un’idea, di mantenere la coscienza vigile.
“Moro fu rapito per non essere salvato – osserva Fracassi, già autore del documentario “Le Dame e il Cavaliere”, di inchieste e reportage – Da quando fu progettato il suo rapimento era implicito che non si sarebbe salvato, nessuno lo voleva vivo. E da un certo momento, quando arrivò il falso comunicato fatto da che indicava il lago della Duchessa, nemmeno le Br lo volevano vivo: capirono che non era più merce di scambio. E quel comunicato lo fecero proprio per questa ragione Servizi segreti italiani e americani”. Secondo il regista-giornalista, troppi lavorarono perché Moro tornasse cadavere: “Non lo volevano vivo i nostri servizi, quelli americani, tedeschi, russi, il Mossad, parte dei nostri politici. Gli unici che hanno provato a far qualcosa sono stati la banda della Magliana, Cosa nostra e la camorra, che è la follia più totale. Da questo documentario emergono tante cose: come il fatto che i criminali furono fermati dai servizi”.
Un coacervo di manovre e interessi che oltrepassava i confini. Allora il mondo era diviso tra Occidente e Oriente, la Cortina di ferro pesava. “Il sequestro è stato un affare internazionale, non solo italiano. Moro voleva dire il Pci al governo – ricorda il regista – Questo non lo volevano gli americani ma nemmeno i sovietici perché significava modificare gli equilibri e temevano che nell'Europa dell'est allora molti avrebbero potuto fare rivendicazioni. Né dimentichiamo che il Pci aveva già rotto con Mosca e che Berlinguer aveva subito un attentato a Sofia. Gli israeliani non volevano quel governo perché Moro era filo-arabo: quindi tantissimi in giro per il mondo avevano interesse al rapimento e alla sua morte”.
Il film affronta una delle questioni cruciali e mai chiarite. Come la delegittimazione della figura di Moro rapito, con chi diceva “non è più lui”. I misteri su quanto del suo memoriale è sparito. E le Br. Chi erano i brigatisti? Erano diretti e/o lavorarono al servizio di qualcuno? Infinite stranezze non spiegano come mai non furono trovati. Come mai la polizia non entrò mai in un covo dove Moro era prigioniero pur bussando alla porta. “Br eterodirette? Il loro capo, o almeno definito tale, Moretti viveva in un palazzo dei servizi segreti in una via dei servizi, via Gradoli, veniva da un gruppo di persone che erano dei servizi segreti. Era un agente dei servizi cecoslovacchi? Un agente doppiogiochista tra est e ovest?” Fracassi non crede a Moretti e brigate rosse autonome. “Sostenne di uccidere moro, un agente non decide per sé ma esegue ciò che gli viene ordinato”. Il film filtra ricostruzioni e ipotesi già formulate. “Secondo i magistrati non c'era un solo brigatista che non fosse anche agente di qualche servizio segreto straniero, secondo le br e altri quei terroristi erano invece 'ingenui', diciamo così. Nel film cerco di mantenere una posizione equilibrata perché esiste un margine di dubbio, per quanto per me questo margine di dubbio sia risibile”.
“Sequestro Moro” imbocca una strada diversa dal documentario storico. Non mostra immagini d’archivio né di repertorio. Animazioni, fumetti, impaginazioni grafiche stile reparti d’indagine scientifici … “Abbiamo voluto fare un documento didattico perché tanta gente non sa, abbiamo pensato ai giovani con un taglio quasi da cartoni animati, in certi passaggi guardando a Matrix, anche se siamo lontani anni luce dal film. Abbiamo cercato di dare un ritmo forte a un film fatto quasi esclusivamente di interviste”. Gli intervistati sono il giudice e scrittore Giancarlo De Cataldo; Rosario Priore e Ferdinando Imposimato, giudici istruttori del processo Moro; Sergio Flamigni, membro Commissione parlamentare d’inchiesta Moro; Ansoino Andreassi, ex funzionario della Digos; Giovanni Pellegrino, Presidente Commissione parlamentare stragi; i giornalisti Giovanni Fasanella (autore del libro “Intrigo Internazionale”), Sandro Provvisionato (autore del libro “Doveva Morire”), Annibale Paloscia (capo-redattore cronaca dell’agenzia Ansa nel 1978), Philip Willan (autore del libro “I burattinai”).
“Sequestro Moro” segue, tra i film-documento distribuiti da l’Unità, “Sangue e cemento”, sul terremoto dell’Aquila (ovvero sulla mala-costruzione di edifici franati), arriveranno “Le stigmate e il denaro Padre Pio, business e miracoli” a giugno e “G Gate” sul G8 di Genova a luglio. Hanno prodotto questo film sul caso Moro Telemaco, Thalia Group, Netlords, Eidos Communication.
6 maggio 2011
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